Piazza Fontana

Il 12 dicembre 1969 un ordigno esplode nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura di Piazza Fontana. Il bilancio finale sarà di 17 vittime e 88 feriti. Prendevano il via gli anni della “strategia della tensione” e del terrorismo neofascista in Italia volto ad utilizzare il disordine e la paura per sbocchi di tipo autoritario

In quella stessa giornata nell’arco di 53 minuti – tra Milano e Roma – si verificarono cinque attentati. Per la sua gravità e la sua rilevanza politica, la strage di piazza Fontana divenne il momento più alto di un progetto eversivo

Il dott. Vittorio Occorsio in qualità di sostituto procuratore si occupa del primo interrogatorio di Pietro Valpreda, contestandogli l’omicidio di quattordici persone e il ferimento di altre 80.

Le indagini, dopo aver inizialmente imboccato la “pista anarchica”, si concentrarono su alcuni esponenti del gruppo padovano dell’organizzazione di estrema destra Ordine nuovo e coinvolsero esponenti di spicco dei servizi segreti. Il processo a carico dei responsabili della strage si svolse tra polemiche originate dalla decisione della Corte di Cassazione di trasferirne la trattazione da Milano a Catanzaro.

Sono stati accertati «accordi collusivi con apparati istituzionali» (relazione della Commissione Stragi). Nel gennaio del 1987 divenne definitiva la sentenza di assoluzione per insufficienza di prove degli imputati di strage. Fu instaurato un secondo processo che si concluse, anch’esso, con l’assoluzione degli imputati.
A seguito di dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia (appartenenti o vicini a gruppi di estrema destra) venne instaurato un nuovo giudizio a metà degli anni Novanta, anche questo conclusosi – nel 2005 – con la conferma, da parte della Cassazione della sentenza di assoluzione per insufficienza o contraddittorietà delle prove.

Aldilà dell’esito negativo per l’accusa delle sentenze di primo e secondo grado e di quella della Suprema Corte, i giudici «sia pure in chiave meramente storica e di valutazione incidentale», hanno ritenuto che «il complesso indiziario […] fornisce […] una risposta positiva al quesito» circa la riferibilità della strage ai due ordinovisti di Padova assolti all’esito del precedente processo. Le sentenze hanno inoltre stabilito che, del fatto, era stato responsabile anche un collaboratore di giustizia prosciolto in primo grado cui erano state riconosciute attenuanti e alla conseguente prescrizione del delitto addebitatogli.
In particolare la Suprema Corte ha ritenuto accertato, sotto il profilo storico, il coinvolgimento dei primi imputati – Freda e Ventura – sebbene non fossero più processabili stante la definitiva assoluzione.